giovedì 22 gennaio 2009

Il paese del sogno



Era of responsibility. L'epoca della responsabilità. Il tempo in cui ciascuno è chiamato ai suoi doveri verso se stesso, il suo paese e il mondo intero. «Doveri che non sopportiamo controvoglia ma che accogliamo con gioia». Gioia, che parola. Bisognerà riabituarsi alle parole antiche oggi che il nuovo mondo è arrivato e ha la faccia di «un uomo il cui padre meno di 60 anni fa poteva non essere servito in un ristorante e ora è qui dinanzi a voi». Accettare con gioia il dovere perché non c'è nulla di più soddisfacente che «impegnarsi anima e corpo in un compito difficile». L'opportunità che nasce dal dolore. L'orgoglio che fiorisce nella difficoltà comune. La grandezza va guadagnata, «non è da pusillanimi».

Pusillanimi, che parola. Quelli che «preferiscono l'ozio al lavoro o cercano solo i piaceri della ricchezza e della fama». Quelli, capito chi? Coloro che ci hanno portato alla libertà invece sono quelli che hanno svolto un lavoro oscuro, che hanno rischiato, che hanno fatto le cose. Il coraggio, non il cinismo. La speranza, non la paura. Essere molteplici, essere diversi, essere cristiani e musulmani ebrei e indu e non credenti «è una forza, non una debolezza». Saremo noi con le nostre forze ad uscire da questa crisi, che è grave ma ne abbiamo passate di peggiori. Con queste armi, ne usciremo: con la gentilezza con cui si accoglie in casa un estraneo in difficoltà. Con la generosità di un lavoratore che accetta una riduzione dell'orario per non far perdere il posto ad un amico. Con il coraggio di un pompiere nel fumo. Con il desiderio di un genitore di veder crescere il figlio. Gentilezza, generosità, coraggio, desiderio. Che parole. Sono queste dunque le parole della politica, nel nuovo mondo?
E poi anche, ascoltate come prosegue l'elenco di «quel che serve per affrontare le sfide». Duro lavoro e onestà, coraggio e correttezza, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo. Duro lavoro, ci vuole coraggio solo a dirlo davanti a milioni di occhi, davanti al mondo intero. Lealtà, che parola.

Curiosità. Bisogna assaporarle bene una per una e ricordarci di quando ce le insegnarono, da bambini. Sembrava proprio questo, il discorso dei diciotto minuti. Un canto come quello di Aretha Franklin, una preghiera, un poema, una poesia, un discorso per la gente comune così facile e umile e fermo che lo capiscono anche i bambini. Ha giurato mostrando al mondo il braccialetto del soldato ucciso («ciascuno ha dato qualcosa, lui ha dato tutto», c'è scritto), poi ha parlato di scuola e di sanità, di energia pulita e di diritti. Tutti uguali, tutti liberi, tutti con la possibilità di essere felici. Ha teso la mano all'Islam: noi siamo più forti dell'odio. Chi è dalla parte sbagliata della storia abbassi il pugno, lo accoglieremo. Ha ricordato i padri e «le parole vecchie, quelle che servono». Ha detto che sarà difficile ma non possiamo che andare diritti verso un mondo che offra un futuro di pace e dignità. Infine ha detto: il mondo è cambiato, dobbiamo cambiare con lui.
(Concita De Gregorio)