Mi fa male lo stomaco a scrivere quello che sto per scrivere: la voglia di polemica, ve lo assicuro, è sotto zero, e speravo che una tragedia come quella dell’Abruzzo ci aiutasse, nel dolore comune, a sentirci comunità. Ma stamattina, in Aula, si è svolta una scena squallida che ho il dovere di raccontarvi. Parlavamo del decreto 11/2009, quello sullo stalking e sulle ronde. Parentesi: scusa, ma non avevate già approvato una legge sullo stalking tempo fa? Sì. E allora, perché ritorna in Aula? Perché il decreto entra in vigore subito, la legge (che è ancora al Senato) non prima di tre mesi. E cosa ha lo stalking in comune con le ronde? Nulla, a parte la categoria onnicomprensiva di sicurezza. Chiusa parentesi. Si tratta, insomma, di un decreto che mette insieme cose diversissime, sulle quali anche noi abbiamo valutazioni diverse: favorevoli alla parte sullo stalking, contrari a quella sulle ronde. Così, per dare al Paese un segnale di unità, abbiamo chiesto al ministro dell’Interno di stralciare la parte contestata, per esaminarla in un altro momento: avremmo votato immediatamente il resto, senza perdere tempo, e saremmo passati al provvedimento successivo. Niente da fare: Maroni ha rifiutato, perché la tentazione di metterci in un angolo (e poter dire che il Pd non ha votato lo stalking e sta facendo ostruzionismo anche in un momento del genere) era troppo forte. E l’intervento di Italo Bocchino, vicecapogruppo del Pdl, ha completato l’opera: la nostra opposizione dura “sarebbe una bruttissima pagina nella storia della Camera dei deputati”, perché il Pd si macchierebbe della colpa di ”tenere bloccato il Parlamento e il ministro dell’Interno” mentre “abbiamo migliaia di uomini in divisa che stanno cercando di tirare fuori ancora decine di persone da sotto le macerie”. Non pensavo che sarebbero arrivati a tanto: lo temevo, ma non lo pensavo. E così sono andato subito da alcuni colleghi ragionevoli del Centrodestra, imbarazzati quanto me: tra loro, anche dei leghisti, che prendevano le distanze da Bocchino. Ma poi, un’ora e mezzo dopo, anche il loro capogruppo, Cota, ha sfruttato la scia: “non ci aspettavamo questo atteggiamento”, ci ha detto, accusandoci di “strumentalizzazione politica” e di irresponsabilità nel voler “tenere qui in Parlamento il ministro dell’Interno, costretto, giustamente, per senso di responsabilità - lui sì - a seguire questo provvedimento, quando vi è bisogno di coordinare i soccorsi, di essere presenti al Viminale o di andare nelle zone colpite dal terremoto”. Un attacco vergognoso, davvero. Tanto più che in queste ore stiamo mettendo a disposizione tutta la nostra rete organizzativa, stiamo raccogliendo soldi per la Caritas, stiamo inviando materiale e volontari… come è giusto e naturale che faccia un partito che vuole bene all’Italia. Ma proprio per questo - proprio perché abbiamo a cuore il nostro Paese - sulle ronde abbiamo deciso di tenere duro. E ci siamo iscritti a parlare in una novantina, per fare pressioni sul governo e costringerlo a ritirare l’articolo sulle ronde. La Lega ha chiesto la chiusura anticipata del dibattito sul complesso degli emendamenti, per evitare che il decreto decadesse. Tutto come al solito, insomma. Nonostante il terremoto.
Andrea Sarubbi
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