martedì 4 maggio 2010

Cerchi casa? Chiedi a Scajola

Con le dimissioni di oggi, le seconde consecutive in altrettanti mandati, credo che Claudio Scajola abbia stabilito il nuovo primato italiano: gli scienziati della politica ci diranno, nelle prossime ore, quanto manca per il record del mondo. Ma più che le dimissioni in sé – arrivate quando ormai la frittata era fatta e quando pure la stampa amica aveva rinunciato a difendere l’indifendibile – mi ha colpito la sua reazione a caldo: il ministro ha negato tutto, anche ciò che sapeva di non poter negare, pensando che la strategia del “fango gettato” e del complotto (brevettata dal presidente del Consiglio e buona per tutte le occasioni) portasse frutto anche stavolta.
La reazione di Scajola mi ha colpito, dicevo, anche perché l’ho trovata identica a quella di Guido Bertolaso, nei giorni delle intercettazioni sugli appalti del G8. Ricordate le visite notturne al Salaria sport village, la “ripassata a Francesca”, la busta profetica del generale Lorenzetti con i nomi della società che avrebbe vinto le commesse per la Maddalena e dei dirigenti che il capo della Protezione civile avrebbe designato a controllare le grandi opere? “Una campagna di fango”, disse allora Bertolaso, e la maggioranza lo difese a spada tratta, anche in Parlamento. Ma il punto di contatto più evidente tra la vicenda Scajola e quella Bertolaso è certamente il co-protagonista dei fatti: in entrambi i casi si tratta dell’imprenditore Diego Anemone, campione incontrastato nella categoria Grandi eventi, che negli ultimi anni dell’era berlusconiana – dal G8 ai mondiali di nuoto – è riuscito a strappare al governo contratti megamilionari attraverso il metodo Pieraccioni, quello che nei Laureati cercava di superare un esame universitario con un gioiello per la moglie del prof (“Un tintinnino per la sua signora”, ricordate?), solo che nella versione Anemone non c’è pericolo di essere cacciati via a calci. Mettendo insieme le carte emerse finora (i depositi bancari, gli 80 assegni circolari sotto la soglia di allerta della Guardia di finanza) e le testimonianze degli interessati (le due sorelle venditrici, il notaio, un autista e non so chi altro), viene fuori che nell’acquisto della casa al Colosseo mancano all’appello parecchi soldini: i 200 mila euro dati cash alle proprietarie e gli altri 900 mila frazionati negli assegni. Questo non è fango, sono carte, e il ministro lo sa benissimo: per difendersi, allora, non gli resta che il piano B, quello del finto tonto (“Non c’ero, e se c’ero dormivo”), che però in questa circostanza fa davvero ridere. Evidentemente – ha detto testualmente Scajola stamattina, nella conferenza stampa convocata per annunciare le dimissioni – qualcun altro (“Chissà chi? chissà perché?”) ha messo dei soldi al posto mio, pagandomi due terzi dell’appartamento senza neppure dirmelo (“Che pensiero gentile! se solo riuscissi a capire chi è, almeno per mandargli un mazzo di fiori…”). Ora, se è umanamente comprensibile che l’accusato tenti di difendersi, è un po’ meno spiegabile che creda di poter prendere in giro l’Italia intera: certi atteggiamenti – a cominciare dalla consegna degli assegni, avvenuta nel suo studio – li puoi avere solo se ti consideri al di sopra di ogni legge. È il virus dell’impunità, che a Palazzo Chigi ne ha contagiati parecchi.

Andrea Sarubbi



La motivazione di Scajola è fantastica, irresistibile, inoppugnabile. Talmente irrazionale da risultare quasi simpatica. Qualcuno gli ha pagato la casa di nascosto, dietro le spalle, nottetempo, a tradimento, per fargli un dispetto, per metterlo nei guai. Forse la Spectre, forse i marziani, forse gli immigrati clandestini. Forse quelli della mala, forse la pubblicità. L'Fbi indaga: roba da X-Files. Nel frattempo, mi chiedo: di Scajola si ricordano soprattutto le dimissioni. Quella per Biagi e quest'ultima. Nel frattempo esattamente che cosa ha fatto? Ah, già, il nucleare.

Pippo Civati