lunedì 4 ottobre 2010

Orchidea

Due articoli tratti rispettivamente da L'Unità e da Famiglia Cristiana:

Nel bailamme suscitato dalla barzelletta sessista con annessa bestemmia del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, rischia di passare inosservato - e sarebbe un'ingiustizia - il profilarsi di una riforma epocale, di portata addirittura planetaria, invocata dall'on. Carlo Giovanardi. Si tratta di una riforma attesa da millenni, che ora pare davvero necessaria: la riforma dei Dieci Comandamenti. Insomma, sono passate diverse legislature da quando Mosè scese dalla montagna con le tavole della legge, e ora i tempi paiono maturi per un decisivo emendamento. E' grave nominare il nome di Dio invano (art. 2)? - chiede l'intervistatore all'ineffabile Giovanardi. E quello, senza nemmeno che un cespuglio prenda fuoco, risponde ieratico: "Considero molto più grave registrare una conversazione privata e renderla pubblica". Per un cattolico, si tratta di uno strappo notevole. Altro che dogma, altro che Parola di Dio: pare che la parola di Berlusconi valga di più. E' probabile che per cambiare il secondo comandamento ("Non rendere pubbliche conversazioni private") servirà una maggioranza qualificata. Vedremo come voteranno i cattolici del PDL, sempre rigorosi quando si parla degli altri e sempre un po' più morbidi quando si tratta del loro capo. Da politico consumato, Giovanardi parla anche d'altro, per esempio delle barzellette sulla Shoah, non così gravi visto che lui conosce tante storielle yiddish. Ma è una digressione: il cuore del Lodo Giovanardi è la riforma dei Dieci Comandamenti, a partire dall'articolo due. Ed è probabile che in Parlamento qualcuno guardi più avanti, all'articolo sette ("Non rubare") che potrebbe essere facilmente corretto con l'aggiunta di una frase: "O almeno non votare l'autorizzazione a procedere".

Per raccontare l'ennesima barzelletta volgare sulle donne, il cavalier Berlusconi si dà alla bestemmia. Il capo del Governo si concede ciò che non è permesso ai calciatori.
Lui, Silvio Berlusconi, dice che la barzelletta, costruita da chissà chi per insultare Rosy Bindi e comprensiva di bestemmia finale, circolava già in Parlamento e quindi raccontarla in pubblico non era peccato. Basta accedere a You Tube e fare una breve ricerca per rendersi conto di quale scherzo volgare si tratti. Il rammendo, però, è peggio del buco. Perché dimostra che, come sempre, il Cavaliere pretende di tenere il piede in tutte le scarpe possibili. Nel caso specifico, quello del signore galante e del sessista da bar. Dello statista e del teppistello di periferia. E, ancora peggio, del politico intriso di sentimenti cattolici quando si tratta di chiedere voti ma sostanzialmente estraneo al sentire cattolico in ogni altro momento della vita quotidiana. A testimonianza di questo vale l’ampia reazione di sdegno che si registra in queste ore, e che non può essere derubricata a semplice polemica (o persecuzione, come forse diranno i fan del Cavaliere) di stampo politico. La bestemmia colpisce un lato per fortuna ancora molto reattivo dell’opinione pubblica, come dimostra per esempio la campagna contro le imprecazioni dei calciatori, alcuni dei quali già squalificati e multati. Si vorrebbe provare stupore di fronte a questa performance del primo ministro che pretende di aver evitato una guerra della Russia contro la Georgia e di aver salvato l’economia americana dalla crisi fornendo buoni consigli a Obama. Invece sappiamo tutti che non è la prima e certo non sarà l’ultima. Perché proprio dal Cavaliere arriva uno dei più chiari esempi di quel “cristianesimo alla carta” o “cristianesimo usa e getta” che è oggi tra le piaghe più profonde della vita sociale del nostro Paese.